Luigi Garilli, suonatore di piva.
La piva emiliana, evoluta come altre cornamuse italiane dalle tibiae utricularis suonate nell’antica Roma, è una cornamusa nata nell’Appennino emiliano (nelle valli appenniniche tra Reggio Emilia, Parma e Piacenza), in uso fino agli inizi del 20° secolo.
Le ultime pive sono state ritrovate circa 30 anni fa, in prossimità del crinale che separa le provincie di Reggio Emilia, Parma e Piacenza da quelle di Massa-Carrara, La Spezia e Genova.
In quelle zone di montagna fino a pochi decenni fa vigeva un regime economico agro-pastorale, al limite della sussistenza, che costrinse gran parte della popolazione a emigrare, e dove la scarsa influenza delle città permetteva la predisposizione alla conservazione di un patrimonio culturale di tipo arcaico.
Oltre che in queste zone, si presuppone che la piva fosse diffusa anche in collina e in pianura, nelle odierne province di Modena e Bologna, anche se non se ne hanno tracce.
La cultura musicale dei suonatori si costruiva a orecchio, e l’apprendimento dei repertori avveniva esclusivamente per trasmissione orale, dai balli ai brani che accompagnavano i rituali e le festività del calendario agricolo.
Nonostante si sia suonata fino agli anni Sessanta, la piva ha rischiato l’estinzione ancora prima della prima guerra mondiale, per diverse ragioni:
– Difficoltà nella manutenzione e nell’accordatura dello strumento;
– Difficoltà di adattamento alle nuove esigenze musicali a causa della sua tonalità fissa;
– La comparsa di strumenti più “comodi” e con un’estensione più vasta, ad esempio la fisarmonica;
– Il basso grado di interesse da parte dei giovani per la cultura e le tradizioni rurali;
– L’emigrazione all’estero e in città, con conseguente spopolamento dell’Appennino.
Dopo il 1945, infine, i processi di urbanizzazione e industrializzazione, con un cambiamento profondo dei gusti musicali, fanno sì che nessuno si interessi più alla piva, se non a livello individuale e sporadico.
Oggi grazie a un abile artigiano, Franco Calanca, che ha ricostruito la piva sulla base di alcuni strumenti rinvenuti, questa cornamusa è tornata a far parte del folklore italiano, ed è riproposta da molti gruppi musicali anche in diversi generi musicali, che vanno dai balli staccati emiliani, alla musica popolare, medievale o in chiave più moderna, con repertori originali.
Bruno Grulli, appassionato ricercatore di tradizioni orali, rinviene e censisce nove pive, che si possono suddividere in tre “famiglie”:
Val Parma:
– Piva trovata a Montecchio presso un antiquario (oggi di sua proprietà),
– Piva di Mossale, appartenuta al “Ciocaia”, oggi di Bruno Grulli.
Val Ceno/Taro (parmense):
– Piva di Arnaldo Borella (1914-1989),
– Piva di Lorenzo Ferrari (1914-1998), oggi nel museo Guatelli a Ozzano Taro,
– Piva rinvenuta a Milano da Febo Guizzi (etnomusicologo italiano).
Provincia di Piacenza:
– Due pive ritrovate a Pertuso, oggi nel museo Guatelli
– Piva di Mareto, appartenuta a Luigi Garilli, oggi della famiglia Garilli.
Una nona piva di origini incerte è di proprietà di Ettore Losini, costruttore e suonatore di piffero e musa a Bobbio.
Il modello di piva in sol che Calanca propone presenta delle differenze rispetto alle nove pive ritrovate e censite da Bruno Grulli, differenze che però non alterano le caratteristiche fondamentali dello strumento, ma che aggiungono nuove note o risolvono problemi legati alla manutenzione.
Il sacco non è più in pelle di capra o pecora ma in pelle di vitello o di mucca, più resistente e duratura; inoltre per fare il sacco non si usa più l’animale intero, sia per comodità sia perché la pelle sul ventre è più sottile e si rompe facilmente.
La pelle, infine, ha un trattamento idrorepellente, che ne riduce il deterioramento a causa dell’umidità.
Nei bordoni cambia di poco il disegno estetico, le casse di risonanza sono molto più accentuate e il canneggio interno del bordone basso è stato ristretto, per diminuire il volume e rendere più stabile il suono.
Sul chanter, che in origine presentava sette fori anteriori, tutti di uguale diametro ed equidistanti, sono stati aggiunti due fori posteriori in corrispondenza dei pollici, per il la alto e il si bemolle, ampliando così la scala.
I fori inoltre non sono più equidistanti e tutti uguali ma di diametri diversi, per ottenere una migliore intonazione e una più facile accordatura.